Biagio Cavanna e la buccia di banana

16 
apr

Biagio Cavanna: «Attenti alla buccia di banana»

 

Biagio CavannaBiagio Cavanna è passato alla storia del ciclismo (e dello sport targato Italia) per il suo grande intuito nello scoprire i campioni. Sotto la sua egida Learco Guerra (campione del mondo 1931), Costante Girardengo (due volte vincitore del Giro d’Italia) e ultimo, solo in termini cronologici, Fausto Coppi (cinque volte campione del Giro d’Italia, due volte del Tour de France) divennero i punti di riferimento del ciclismo che tutti conosciamo.

Quell’intuito che fece guadagnare a Biagio Cavanna i nomignoli di “veggente” o “mago” di Novi Ligure, gli derivò anche da una lunga esperienza di ciclismo gareggiato in prima persona. Anni di fatiche sulle piste, fino a quella maledetta Sei Giorni di Dortmund (1936) che rappresentò l’anticamera alla sua cecità, il tramonto della sua carriera ciclistica e l’alba della sua fortuna come mentore, allenatore e massaggiatore di talenti.

Il lavoro sui pedali gli insegnò ciò che egli ripeteva spesso a Girardengo: il sacrificio è l’unica moneta che paga la gloria. Ma, delle competizioni ciclistiche, il pistard Biagio Cavanna ricordava anche un’altra cosa: uno dei momenti più rischiosi della gara è il rifornimento.

Ai tempi del ciclismo eroico i chilometraggi da affrontare sono oggi un lontano ricordo; i pochi rifornimenti lungo il percorso richiedevano una buona scorta di energia e, allora, non si poteva contare su alimenti e bevande hi-tech

Le banane erano onnipresenti, confermando, con ciò, il loro contributo storico a questo sport. Tanto presenti che potevano essere un problema. Ricorda Biagio Cavanna che durante i rifornimenti era bene trovarsi in testa al gruppo per evitare di essere intralciati dagli scarti del rifornimento di chi precedeva o di scivolare sulle bucce di banana. Una scivolata con la quale, in un ambito completamente lontano dagli sketch della comicità più classica, ci si poteva giocare allo stesso tempo (e in ordine d’importanza) il podio e la dignità.

 

Fonte immagine: beniculturali.it