Il mango, l’oro dell’India

La coltivazione del mango è antica quasi quanto la nascita dell’agricoltura: esistono prove archeologiche che dimostrano la sua presenza nell’area indo-birmana – che si estende dall’India orientale al sud della Cina, attraversando tutto il Sud-Est Asiatico – già 5.000 anni fa.

Un successo tanto precoce non stupisce se si considera il suo frutto dolce e succoso, i fiori eleganti e il legno solido della sua pianta.

 

Il mito del mango

Queste caratteristiche l’hanno reso un simbolo di grande importanza per le religioni dell’Asia Centrale: il mango è presente in numerosi miti legati all’induismo e al buddhismo.

Il più noto riguarda Kama, una figura assimilabile al Cupido della tradizione occidentale protagonista del Kamasutra. Kama è colui che instilla l’amore nel cuore degli uomini e degli dei scoccando frecce imbevute di olio di fiori di mango.

Il profumo inebriante dei fiori di mango compare spesso negli antichissimi testi sacri dei Veda, risalenti a quattromila anni fa, e nel più recente poema epico del Ramayana in relazione all’amore e all’erotismo.

Tutt’ora in India permane la tradizione del matrimonio dell’albero di mango: tra agricoltori che vogliano suggellare la propria amicizia, è frequente che si organizzino cerimonie in cui due alberi vengano “uniti in matrimonio”. Non solo: in alcuni matrimoni il futuro marito o la futura moglie vengono fatti sposare precedentemente a un albero di mango, anche se questa pratica sta scomparendo perché strizzerebbe l’occhio alla poligamia.

Alcuni studiosi sostengono, inoltre, che il famoso motivo cachemire rappresenterebbe proprio il frutto del mango.

La mitologia del mango, tuttavia, non si è fermata ai tempi antichi. Nell’autunno del 1968 Mao Zedong, per ricompensare la fedeltà di un gruppo di operai durante la rivoluzione culturale cinese, inviò loro 40 manghi che gli erano stati regalati dal ministro degli affari esteri Pakistano. Ma nel nord della Cina degli anni Sessanta il mango era un frutto sconosciuto, che provocò grande curiosità negli operai: tra la possibilità di spartirlo e quella di conservarlo decisero di metterli sotto formaldeide e di farne delle copie in cera da mettere sotto teca e distribuire a ciascuno dei lavoratori. Sia i manghi conservati che le copie divennero oggetti di culto, cui vennero dedicate processioni e feste in tutta la Cina.

 

La diffusione del mango

La diffusione del mango al di fuori dai territori sub-himalayani nel IV e V secolo a.C. avvenne tramite il trasporto dei semi da parte di monaci buddhisti nel Sud-Est Asiatico, attraverso cui raggiunsero poi la Cina del sud nel VII secolo.

Verso ovest, i commercianti portarono il frutto in Persia, da cui si diffuse in Africa Orientale nel X secolo.

Il primo trasporto verso l’Europa avvenne per mano dei Portoghesi, che giunsero a Calcutta nel 1498. Furono sempre loro a portare la coltivazione in Brasile all’inizio del XVIII secolo.

Negli Stati Uniti i primi tentativi di introdurre la coltura risalgono alla prima metà dell’Ottocento, quando venne avviata una prima coltivazione in Florida, ma i primi successi commerciali si ebbero con l’introduzione del mango alle Bermuda e alle Bahamas negli anni Settanta. Tuttavia, il grosso del consumo statunitense è supportato dall’importazione dal Sud America.

Nonostante l’ampia diffusione, che ne permette il consumo durante tutto l’anno, l’India rimane il primo produttore (e consumatore) di mango al mondo, con le sue quasi 10.000 tonnellate annue e più di 1.000 varietà di frutti, di cui le più diffuse commercialmente sono Alphonso, Kesar, Dashehari, Chausa, Langra, Banganpali, Neelum & Totapuri.

 

Le proprietà del mango

  • È un frutto “antistanchezza”, poiché è ricco di vitamine A, B e C e di sali minerali come potassio, calcio e magnesio;
  • È ricco di acqua e fibre, che lo rendono un ottimo alimento per agire sulla peristalsi intestinale, e quindi sulla costipazione;
  • È ricco di antiossidanti dalle capacità antinfiammatorie e antitumorali;
  • Ha potere diuretico e combatte la ritenzione idrica;
  • Contiene betacarotene: aumenta quindi la produzione di melanina.