Cocco, origini e migrazioni di un frutto antico

Protagonista dell’estate e dell’immaginario tropicale, quello che chiamiamo generalmente “cocco” – con la sua gustosa polpa bianca coperta di un sottile strato marrone scuro – è in realtà solamente il seme del frutto della Cocus Nucifera, ed è più propriamente detto noce di cocco.

La parola cocco deriva dal portoghese e dallo spagnolo coco, mostro leggendario dalla testa di zucca della tradizione iberica. Il riferimento mitologico è dovuto all’aspetto dell’involucro che racchiude il seme, detto endocarpo: la sua parte inferiore presenta tre fori germinativi, disposti in modo tale da ricordare i tratti di un volto inquietante.

Prima di proseguire, una piccola carta d’identità del cocco. La struttura del frutto ricorda un po’ le matrioske russe: la parte più interna è composta dall’endocarpo, a sua volta circondato da un involucro fibroso detto mesocarpo, a sua volta ricoperto dalla superficie liscia dell’esocarpo, di colorazione verde, gialla o arancione a seconda dello stadio di maturazione e della varietà.

L’intero frutto è quindi piuttosto voluminoso e pesa tra 0,5 e 1,5 chili.

Gli utilizzi della noce di cocco

Questa struttura complessa ha reso la noce di cocco un frutto dagli innumerevoli utilizzi, primo fra tutti quello alimentare.

La polpa del cocco può essere consumata fresca, quando la sua consistenza è morbida e gelatinosa, oppure essiccata: in questo caso prende il nome – di origine indiana – di copra, da cui vengono ricavati prodotti ad alto contenuto di grassi che derivano dalla spremitura, bollitura o pressatura, come:

  • il latte di cocco;
  • il burro di cocco;
  • l’olio di cocco;
  • la farina di cocco.

Prima dell’essiccamento, la polpa del cocco contiene circa il 35% di grasso e il 10% di zucchero. Una volta essiccato, invece, la percentuale di grasso aumenta fino al 63 – 70%, rendendolo un alimento particolarmente nutriente.

L’olio di cocco è un prodotto prezioso usato anche nella cosmesi: l’acido laurico, che ne costituisce più della metà della composizione, ha una struttura chimica simile alle proteine dei capelli e della pelle, il che lo rende un prodotto dalla grande efficacia idratante e lenitiva.

Non è finita. La cavità del seme della noce di cocco ospita al suo interno, quando il frutto è ancora acerbo, un liquido chiaro conosciuto come acqua di cocco, presente in quantità che possono raggiungere addirittura il litro.

L’acqua di cocco è caratterizzata dalla presenza di sali minerali come il potassio, il magnesio, il calcio e il fosforo, che ne fanno un’utile riserva naturale per il reintegro dei liquidi. Per questo motivo, scorte di noci di cocco venivano frequentemente imbarcate sulle navi a lunga percorrenza. Un liquido può scatenare battaglie? Non proprio, ma ci siamo andati vicini. Il celebre episodio dell’ammutinamento del mercantile Bounty nel 1789 sembra essere nato da una lite dovuta alla sottrazione da parte dell’ufficiale Fletcher di due noci di cocco dalla scorta personale del comandante Bligh.

Il guscio legnoso dell’endocarpo è particolarmente resistente: permette, infatti, di mantenere il seme intatto anche nel momento in cui il frutto cade dalla chioma della palma, situata ad altezze che possono raggiungere i 30-40 metri. Dall’endocarpo sono ricavati carbone e pellet ecologici di ottima qualità; può anche diventare la materia prima per la creazione di oggetti di artigianato come strumenti musicali, utensili da cucina, galleggianti marini, bottoni e accessori.

Il mesocarpo è invece particolarmente duttile grazie alle sue fibre, lavorate per la produzione di materiale per la bioedilizia, tessuti, tappeti e setole, nonché per la creazione del coir, una fibra particolarmente resistente all’acqua salata e per questo utilizzata per la fabbricazione di corde da navigazione.

L’origine del cocco

Nel passato, la classificazione del cocco era legata alla sua morfologia: si pensava che le due grandi famiglie della palma da cocco fossero quella a fusto alto, considerata primordiale, e quella nana, frutto della selezione artificiale umana. Tradizionalmente, si pensava che la diffusione del cocco fosse legata alla sua capacità di galleggiare a lungo e di essere trasportato dalle correnti da una costa tropicale all’altra.

Non è andata proprio così. Recenti studi genetici hanno confermato l’esistenza di due ceppi principali, che non dipendono però dalla morfologia della pianta: uno caratteristico del Pacifico, l’altro originario dell’Oceano Indiano. Ma la storia della loro diffusione è un’altra.

La più antica tipologia di palma da cocco sarebbe quella del Pacifico, introdotta nell’ecosistema dell’Oceano Indiano circa duemila anni fa da popolazioni austronesiane. Furono loro a tracciare le prime rotte commerciali che collegavano il Sudest Asiatico al Madagascar e alle coste dell’Africa Orientale: questa ipotesi sarebbe confermata dagli studi sulle odierne popolazioni del Madagascar, che mantengono traccia di migrazioni e scambi genetici con le popolazioni del Pacifico.

Il cocco dell’Oceano Indiano venne poi trasportato in America molto più tardi dagli Europei: i Portoghesi avrebbero trasportato carichi di noci di cocco dall’Oceano Indiano alla costa occidentale dell’Africa, e da lì il frutto sarebbe poi giunto ai Caraibi e in Brasile, mentre gli Spagnoli, nel periodo coloniale, lo traghettarono dalle Filippine alla costa pacifica del Messico. Queste due rotte sono confermate dalla presenza di cocco del Pacifico sulla costa americana occidentale, e di cocco dell’Oceano Indiano sulla costa atlantica.